Benessere

Portare i bambini in fascia: un’esperienza che “lega”, rassicura e rigenera!

Ogni volta che guardavo le donne africane portare con estrema disinvoltura e tenerezza i loro bambini in fascia pensavo che se avessi avuto un figlio avrei voluto farlo anche io!

Dopo due settimane dalla sua nascita, la mia piccola Chiara dormiva beata nella sua fascia verde quarantasettimane (ottima marca, ve la consiglio!) che mi ha regalato Alessia, mia ostetrica di fiducia nonché sorella.

La prima volta che ho messo Chiara nella fascia lo ricordo perfettamente: non è stato facile (fortuna che mi ha aiutato Alessia), ma il beneficio è stato immediato…ci siamo sentite di nuovo una cosa sola!  Eccoci:

Il contatto prolungato, consentito dalla fascia, ha aiutato entrambe: Chiara, ad accettare più gradualmente la sua nuova vita extrauterina, me, a comprendere la mia nuova identità di mamma. In un momento così meraviglioso ma anche di trasformazione psichica e fisica e di forte emotività, avvolgere Chiara al mio corpo, sentirla così vicina, mi ha aiutato ad acquisire sicurezza e a favorire il nostro incontro, la nostra conoscenza, il nostro innamoramento.

Le prime volte infilare Chiara nella fascia da sola non è stata una passeggiata, ammetto di avere litigato diverse volte con questo pezzo di stoffa (cui oggi sono molto affezionata) davanti lo specchio, con il tutorial di sfondo…la signorina che mostrava come legare la fascia e mettere il neonato dentro era sempre più veloce di me!

Mi sentivo impacciata, la fascia sembrava così lunga e ingombrante… bisogna essere pazienti, provare più e più volte ed essere disposte a spendere energie per imparare! Una volta indossata poi occorre familiarizzare con la fascia, concedersi il “tempo di assestamento” (bastano pochi minuti) prima di affermare che il bambino non vuole stare nella fascia. E’ possibile infatti che il bambino appena infilato pianga ed è probabile che lo faccia perché avverte l’insicurezza del genitore. Una volta superata, sicuramente il bambino abbasserà le tensioni muscolari, smetterà di piangere (secondo una ricerca del pediatra A. Hunziker i bambini portati piangono il 48% del tempo in meno dei bambini non portati) e si addormenterà… parola di mamma di una bimba non dormiente✌

Gli stati emotivi si diffondono in tutto il corpo e il bambino portato può dunque percepire, attraverso il senso cinestetico e la tensione muscolare, le emozioni del genitore che lo porta. L’antropologa-sociologa Margaret Mead, che ha condotto uno studio sui costumi a Bali racconta chiaramente come il contatto materno fornisce al bambino l’indicazione di fidarsi o meno del mondo esterno: nonostante la madre sorrida e si mostri gentile con gli estranei, le urla del bambino che lei tiene addosso ne tradiscono l’intimo panico. Incredibile quanto il corpo possa comunicare e un bambino “ascoltare”.

Ho scelto di portare la mia bambina in fascia perché:

  • a parte la comodità di poter andare ovunque senza problemi (sui mezzi pubblici, in montagna, sulla spiaggia, etc.) ed avere le braccia libere per fare la spesa o le faccende domestiche, ho avvertito fin da subito il desiderio di contatto e il bisogno di costruire un legame forte con lei, che spero l’aiuterà a diventare una persona più sicura e indipendente (secondo la teoria dell’attaccamento di J. Bowlby “attaccarsi” oltre che essere un bisogno biologico è una necessità psicologica basilare per lo sviluppo sano del bambino);
  •  volevo che vivesse una “nascita progressiva”, il più possibile naturale, attenuando, dal punto di vista psicologico, il passaggio dalla vita intrauterina a quella extrauterina;
  •  la fascia mi ha aiutato a farla addormentare e mi ha aiutato a consolarla e calmarla quando soffriva con le colichette, averla addosso fasciata la calmava, le dava sollievo, fino a farla crollare.

L’estate scorsa, quando Chiara aveva due mesi, in montagna, la fascia ci ha aiutato moltissimo, ecco alcune foto di quei momenti indimenticabili…

Dopo un anno continuo a portare Chiara (oggi in marsupio) ed è un’esperienza nuova: Chiara esplora, partecipa, condivide, comunica con il mondo, si guarda attorno e cerca di prendere tutto quello che trova sotto mano (comprese tazzine di caffè al bar!), giochiamo, ci rigeneriamo ogni volta, ci scambiamo coccole e sorrisi. Portare è un’esperienza di scambio continuo, di scoperta, ma anche un momento di rilassamento: infatti Chiara continua ad addormentarsi in marsupio… il battito del mio cuore, il mio respiro, la mia voce, il mio odore probabilmente la rilassano e la la riportano indietro nel tempo, alla sua vita intrauterina.

Sono convinta che Chiara “depositerà” questi ricordi nella sua memoria implicita, fatta di emozioni e sentimenti. Le esperienze che sta vivendo, gli stimoli sensoriali che sta ricevendo influenzeranno e orienteranno lo sviluppo del suo cervello (così come afferma A. Shore, neuroscenziato della University of California), in particolare dell’emisfero destro, quello delle emozioni (emisfero dominante nei primi 2 anni di vita) e spero che contribuiranno a renderla una persona dall’animo sensibile, capace di gestire al meglio emozioni, stress e relazioni.

Portare dipende dalla nostra personale storia di vita e vuol dire anche fare i conti con il passato, con sensazioni non sempre piacevoli che possono tornare in superficie: vissuti di “non contatto” (non aver vissuto l’effetto rassicurante dell’essere tenuti in braccio, essere coccolati, vedere i propri bisogni primari soddisfatti, da cui può derivare la paura di essere abbandonati) influiscono sulla predisposizione al contatto con il proprio bambino, possono creare situazioni di disagio, soprattutto con bambini esigenti, particolarmente sensibili. Portare per me è stato ed è anche mettermi alla prova e in discussione.

Portare vuol dire legare, legare il proprio bambino a sé, legarsi a lui e costruire un attaccamento forte. Come afferma B. Hassenstein (biologo comportamentale) legame e indipendenza non sono contrari, piuttosto hanno effetto l’uno sull’altra: un legame sicuro con i genitori rende possibile e favorisce lo sviluppo dell’indipendenza, un legame debole o addirittura mancante lo ostacola! Inoltre bambini che hanno costruito con i loro genitori un attaccamento sicuro (maturato nel primo anno di vita) hanno una maggiore autostima, sono meno aggressivi e più stabili emotivamente rispetto ai bambini con attaccamento insicuro.

Essere a contatto con Chiara, nella fascia prima e nel marsupio oggi, significa parlare il suo linguaggio, quello del tatto, che le comunica sicurezza. Soddisfare il bisogno primario di contatto corporeo dei neonati non crea ulteriore bisogno, ma – al contrario – con il tempo lo colma!

 

Ho scoperto il mondo del portare e delle fascioteche di recente, quando nel momento in cui ho deciso di passare al marsupio (ve l’ho raccontato qui) mi sono rivolta alla consulente del portare Francesca Morelli e alla psicologa  Maria Grazia Flore per saperne di più su queste tematiche così interessanti! Vi consiglio di rivolgervi ad esperte come loro per facilitarvi la “partenza”, per non abbattervi e rinunciare a portare.

La fascia è un pezzo di stoffa magico nel quale avvolgere se stessi e il proprio cucciolo e capace di regalare emozioni indescrivibili…quindi mamme e papà non negatevi questa opportunità!

 

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