Mi chiamo Nunzia e sono una mamma infermiera. Dopo 8 anni in giro per lavoro, in cui la parola d’ordine è stata “cambiamento” a gennaio sono finalmente approdata a Città di Castello, la città in cui vivo con mio marito Paolo ed i miei due bimbi, Andrea di 6 anni e mezzo, e Alessio, di 2 anni.
L’entusiasmo è però subito stato smorzato dalle notizie che giungevano dai telegiornali nazionali. Il Coronavirus cominciava a diffondersi sempre più rapidamente. Mille paure.
In cardiologia, reparto in cui lavoravo prima che scoppiasse la pandemia, si viveva come in un tempo sospeso. La quiete prima della tempesta.
A metà marzo mi propongono un cambio reparto: Medicina generale. Due giorni là, poi due giorni in Area Covid. Un reparto appena aperto, da organizzare, con i primi pazienti alcuni dei quali stavano molto male.
L’ospedale è stato investito da uno tsunami, le unità lavorative sono state spostate in maniera repentina per necessità organizzative che cambiavano di ora in ora. Pensavo di essermene liberata tornando a casa ed invece tornava prepotentemente nella mia vita, il cambiamento.
Noi operatori sanitari abbiamo dovuto esercitare tutta la nostra capacità di adattamento, nuovi colleghi, nuove routines.
Poi sono stata spostata in Pronto Soccorso, qui avevamo un’area dedicata in cui i pazienti con sintomi riconducibili al Covid-19 venivano posti in isolamento in attesa di tampone.
Lavoravo con una tuta che mi lasciava scoperto solo il volto, doppio paio di guanti, stivali in gomma, maschera FFP2 e visiera. Dopo due minuti ti mancava il fiato figuriamoci restare lì senza poter mangiare, bere ed andare in bagno per 6-7 ore!
Però mi sentivo protetta e sentivo di proteggere la mia famiglia. Al lavoro fisico si associava quello psicologico. Gli anziani arrivavano da noi in ambulanza, disorientati, non capivano perché fossero stati abbandonati dai loro familiari. Abbiamo dovuto manifestare grande empatia. Spesso mi sono sentita figlia e nipote dei miei pazienti, ho cercato di confortarli e di donargli affetto come fossero miei familiari.
E a casa? Come ci siamo organizzati? Semplice! Con il cambiamento! Ma è stata dura.
Non appena il pericolo è diventato reale mia madre e mio padre, dai primi giorni di marzo, sono rimasti a casa. Le scuole sono state chiuse. Andrea ha iniziato le lezioni on line con il fratello che si arrampicava sulla scrivania ed urlava. Sia io che mio marito abbiamo lavorato durante tutto il lock down e, dopo un momento iniziale di avvilimento perché proprio non sapevamo come gestire la famiglia senza sostegno, abbiamo cercato una babysitter. Così è arrivata Bianca.
Non è facile affidare i propri bimbi ad un estraneo soprattutto quando sei abituato a far affidamento su scuola e nonni ma non si poteva fare altrimenti a causa del blocco delle ferie e dei permessi.
Siamo stati fortunati. Bianca si è rivelata dolce e materna. Le nostre giornate per due mesi e mezzo sono state caratterizzate da lavoro e famiglia. Il giardino è diventato teatro di giochi, partite di pallone, merende – pic nic.
Il quartiere è diventato una grande famiglia. Nel rispetto delle norme si sono susseguite piccole passeggiate lungo la strada di casa con chiacchiere con i vicini al balcone o alle finestre.
Abbiamo riscoperto quanto siano belle le piccole cose e quanto abbiamo bisogno di poco per star bene.
A fine maggio la situazione è iniziata a migliorare. Per me un nuovo cambiamento: ritorno in Medicina generale.
Ero esausta, tutti questi cambiamenti rispetto a quella che era la mia normalità familiare e lavorativa mi avevano fatto perdere la mia identità.
Avevo bisogno di aiuto e di ritrovare me stessa. Sono in cammino, con il sostegno di una terapeuta inizio a rivedere un po’ della vecchia Nunzia ma anche una nuova persona, una Nunzia migliore dopo aver capito che…
“Quando diciamo cose tipo Le persone non cambiano, facciamo impazzire gli scienziati! Perché il cambiamento è letteralmente l’unica costante di tutta la scienza.
L’energia, la materia, cambiano continuamente, si trasformano, si fondono, crescono, muoiono.
È il fatto che le persone cerchino di non cambiare che è innaturale, il modo in cui ci aggrappiamo alle cose come erano invece di lasciarle essere ciò che sono, il modo in cui ci aggrappiamo ai vecchi ricordi invece di farcene dei nuovi, il modo in cui insistiamo nel credere, malgrado tutte le indicazioni scientifiche, che nella vita tutto sia per sempre.
Il cambiamento è costante. Come viviamo il cambiamento, questo dipende da noi. Possiamo sentirlo come una morte o possiamo sentirlo come una seconda occasione di vita” (Grey’s Anatomy).
Di Nunzia Cirello